sabato 14 aprile 2012

La vita è un rischio finanziario






Goebbles riuscì a convincere milioni di tedeschi che era nobile e giusto eliminare soggetti definiti un rischio per la società. Ci riuscì in oltre 15 anni di buon lavoro sulla coscienza collettiva di un popolo. Dopo di lui, e prima di lui, ce ne sono stati tanti altri. E ce ne sono tutt’ora tanti altri. Alcuni anche molto più bravi di lui. 
Sarò banale, ma non credo di sbagliarmi se dico che l’FMI è già nella top ten di questa classifica e sta puntando alla pole position. Non per una questione ideologica, ma una analisi semantica dei suoi documenti. Basta una scorsa al capitolo 4 del Global Financial Stability Report di aprile 2012 del FMI per capire gli effetti che questi avranno nella coscienza collettiva.

Il capitolo 4 del Global Financial Stability Report di aprile 2012 l'FMI è titolato “impatti finanziari della longevità”, ovvero cosa succede ai conti se continua ad aumentare la durata media della vita.
E’ normale prendere atto di un fenomeno in atto e doveroso analizzarne gli impatti economici.
Ma se il titolo del capitolo 4 appare sobrio, scorrendo il testo si scoprono termini per me innovativi. A pagina 3 c’è il titolo di un paragrafo: “Il rischio longevità”.
Nel Box 4.3 (pag. 7) “Un esempio di shock da longevità” che racconta come, l’introduzione dei farmaci retro virali, cambiando drasticamente le aspettative di vita dei malati di AIDS fino ad allora condannati ad una breve esistenza, generarono uno shock finanziario nelle compagnie che, scommettendo sulla rapida scomparsa dell’intestatario della polizza vita, gliela compravano prima del decesso. Scontata ovviamente, ma così garantivano al malato, di solito senza famiglia, di avere risorse economiche con le quali sostenere le ultime cure (qui per approfondire). Poi si va avanti con i titoli: “l’impatto del rischio longevità”, “gli effetti del rischio longevità nel lungo periodo”…

La longevità, la sopravvivenza sono quindi passati in un rapporto ufficiale del FMI associati al concetto di rischio, problema, impiccio da risolvere. Si parla di rischio di terremoto, di rischio di frana, di rischio di esplosione, non di rischio di fare una festa, rischio di divertirmi, rischio di vivere bene e a lungo.

Sul piano semantico e cognitivo è stato fatto un salto enorme. Un conto è dire: "visto che la durata media della vita aumenta, osservo che questo ha un impatto economico, impatto che va analizzato e gestito", un conto è parlare di rischio, shock, ovvero associare un termine negativo ad un effetto che fino ad oggi nel pensiero collettivo è stato considerato un fatto positivo: che i malati di aids sopravvivano alla malattia, che si viva di più…


Non è poco. Se lo hanno scritto così lucidamente oggi, vuol dire che gli analisti (che scrivono e leggono questi rapporti) sono anni che ormai hanno subito questa mutazione culturale: ogni cosa che fa sballare i conti è associata al termine rischio.


Ora, ad un rischio si risponde con due azioni contemporanee:
- si definiscono misure di adattamento (la situazione cambia e quindi devo modificare i comportamenti per adeguarli alla nuova situazione)
- si definiscono misure di
mitigazione (devo intervenire strutturalmente per ridurre il fenomeno che genera il rischio)


Siamo solo agli inizi quindi di una trasformazione culturale che si deve diffondere. Tra poco, gradualmente ma con decisione, l’informazione metabolizzerà questa trasformazione cognitiva già avvenuta nei rapporto del FMI e si arriverà a titoli di giornali e telegiornali dedicati al rischio generato da chi vive troppo, allo spread che aumenta perché si sopravvive ad una malattia, agli effetti devastanti sul debito pubblico generati dalla carenza da troppo tempo di guerre sul nostro territorio.


Il passaggio in corso è quindi orientato a imprimere questo concetto nella coscienza: io, tu, tuo padre tua madre e i tuoi figli…. siamo un rischio finanziario se vivremo troppo. Creiamo shock finanziari. Se lo spread aumenta è colpa nostra. Concetti come pace, benessere, guarigione, longevità sono rischi, generano shock. 


L'equazione è: vita = problema, impiccio, fastidio per i conti, rischio di perdite finanziarie.


Il rapporto del FMI fornisce tutte le indicazioni per le misure di adattamento e suggerisce strumenti finanziari per gestirlo. A me paiono terrorizzanti al riguardo le figure relative ai Longevity Swap Transaction e i Longevity Swap Transaction di pagina 20 e 21 (cap 4): nuove forme di scommessa, su cui si creeranno titoli derivati che, per come sono costruiti, renderanno conveniente una strage di massa, una guerra in pieno occidente, un terremoto in un’area fortemente urbanizzata, in quanto lo sfoltimento generato da tali eventi consentirà agli scommettitori di avere vantaggi economici. Ma forse mi sbaglio.

Quanto alle misure di mitigazione, ovvero interventi strutturali per ridurre il fenomeno rischioso per l’equilibrio finanziario mondiale, nel rapporto non si dice ovviamente nulla. Ma è  impossibile che qualcuno non stia già definendo misure di mitigazione. E’ impossibile perché se la finanza vede un rischio (e questo lo ha già scritto chiaro nel rapporto) non può non combatterlo: è come lo scorpione con la rana (*). Lo scorpione non è né buono né cattivo se la punge: è solo la sua natura. Tanto che lo fa anche si auto-condanna a morte.





E' quindi naturale che quello che ci sta succedendo attorno contenga già i germi del piano di mitigazione. Non meravigliamocene. Mitigare vuol dire: ridurre il fenomeno a cui è associato il rischio. E il fenomeno da ridurre è la longevità, la sopravvivenza ad una malattia….


Chiudo: oggi è l’anniversario della scomparsa di Vittorio Arrigoni: Restiamo Umani era il 
suo motto. Oggi solo il restiamo è diventato un rischio finanziario. Di umano non rimane più nulla se ci lasciamo convincere che chi guida è l’FMI. Sta già succedendo.


Grazie alla sempre ottima ed efficace Debora Billi per il suo post da cui sono partito
===o===

(*)La rana e lo scorpione (attribuita a Esopo, ma non vi è alcuna certezza)
“Uno scorpione doveva attraversare un fiume, ma non sapendo nuotare, chiese aiuto ad una rana che si trovava lì accanto. Così, con voce dolce e suadente, le disse: "Per favore, fammi salire sulla tua schiena e portami sull'altra sponda." La rana gli rispose "Fossi matta! Così appena siamo in acqua mi pungi e mi uccidi!" "E per quale motivo dovrei farlo?" incalzò lo scorpione "Se ti pungessi, tu moriresti ed io, non sapendo nuotare, annegherei!" La rana stette un attimo a pensare, e convintasi della sensatezza dell'obiezione dello scorpione, lo caricò sul dorso e insieme entrarono in acqua.
A metà tragitto la rana sentì un dolore intenso provenire dalla schiena, e capì di essere stata punta dallo scorpione. Mentre entrambi stavano per morire la rana chiese all'insano ospite il perché del folle gesto. "Perché sono uno scorpione..." rispose lui "E' la mia natura".

giovedì 25 agosto 2011

Processi partecipativi

L'attuale centrale Enel di Porto Tolle a olio combustibile.
Sarà che vivo a meno di 60 km da Porto Tolle e quindi sono facilmente preda della sindrome Nimby
Sarà che l'idea di bruciare del carbone in un parco naturale e in uno delle zone umide più grandi d'europa mi sembra un po' balzana
Sarà che i filtri, e gli altri accorgimenti tecnologici per abbattere le emissioni, mi sembrano il silenziatore posto sulla canna di una pistola: spara e uccide lo stesso, ma nessuno se ne accorge.  
Sarà che l'idea di una grande centrale mi sembra più da paese in via di industrializzazione (che deve cioè soddisfare in fretta consumi crescenti) che non da paese "sviluppato" (con consumi in calo, o stabili se va bene) dove è necessario investire su rete, energia distribuita e di minore impatto ambientale.
Sarà che, dopo tutti gli allarmi di sforamento dei valori delle emissioni nei centri urbani, mi sembra strano costruire una cosa che concentra in un unico punto le emissioni di 4 volte il centro urbano di Milano. 
Sarà che qualcuno che mi dice che ha 12 miliardi da spendere e non glieli fanno spendere mi fa mettere subito sulla difensiva.
Sarà che quando gli amministratori e parti sociali dei territori coinvolti sono tutti d'accordo pur essendo di partiti diversi e gli unici che non sono d'accordo sono solo quelli che non hanno alcun "potere", io mi preoccupo.
Sarà che Enel, pur essendo una spa, ha la golden share del MEF (1), e quindi la sua politica dovrebbe essere espressione di chi elegge un governo, cioè quegli stessi elettori senza "potere" che sono contrari e preoccupati.
Sarà che fino ai referendum di giugno Enel è quella che più di tutti spingeva per il nucleare.
Sarà che ho una figlia che vivrà da queste parti ancora per un po' di anni.
Sarà che quando dicono "carbone pulito" o "carbone leggero" io penso che sia una battuta di un comico che con gli ossimori punta a stimolare la risata usando l'intelligenza degli spettatori.

Sarà che quando mi mettono in una angolo dicendo "se dici no alla centrale dici no al lavoro e allo sviluppo" io mi sento preso per i fondelli perché non mi lasciano ragionare....

Sarà tutto questo, cioè nulla di rilevante, e sarà anche molto altro di più rilevante, ma io sono convinto che si potrebbe fare affrontare il problema diversamente.

Ecco come.

Enel dice di avere pronti 12 miliardi
La regione avrà costi sanitari futuri che dovrà sostenere per sempre a causa del decadimento della qualità dell'aria. Diciamo che ne attualizziamo almeno 30 anni: io non sono in grado ma ci sono metodologie per farlo.
Calcoliamo gli investimenti pubblici (e privati) fatti negli ultimi 10 anni per sostenere attività turistico ricettive nel parco e aggiungiamogli quelli fatti a sostegno dell'attività ittica (che sarebbero buttati nel cesso nel caso in cui si cominci a costruire la centrale).
Sommiamo anche il costo delle maggiori emissioni di CO2 che dovremmo pagare alla UE nel 2020.....
Aggiungiamo i costi della perdita di biodiversità nel parco naturale (esistono metodologie anche per questo).

La somma di tutti questi costi sono i soldi che tutti gli stackholders devono spendere.
Otteniamo un numero: 20 mld? 40 mld? di meno? di più?
Comunque una cifra superiore a quella che ENEL dice di avere già a disposizione.
Solo avere questa cifra ci mette in condizione di avere una idea più chiara di che cosa stiamo parlando.
Ora, come in tutte le famiglie ragioniamo: con questi soldi cosa possiamo fare? E per ragionare facciamo così.

Apriamo un concorso internazionale di idee (cioè a costo zero) per avere un progetto di massima a queste condizioni: con questi soldi cosa ci faresti e quali vantaggi ci sarebbero per Enel e la comunità locale? 
Nessun altro vincolo, se non presentare una sintesi del progetto in non più di 10 slide (se sono 12 o 18 va bene, ma non 100!). Nella sintesi devono essere chiari e ben definiti:
- costi (anche se di massima)
- impatti occupazionali
- impatti ambientali
- energia prodotta
- .....
Possono partecipare tutti, anche i bambini. Nessuna commissione di valutazione. Il concorso lo può lanciare chiunque: Legambiente, WWF, Greenpeace, un comitato di cittadini.... 

Le proposte che arriveranno saranno rese pubbliche e su quelle si cominci a ragionare: dibattito politico e dibattito pubblico. Il processo pubblico ai progetti garantisce che quelle più balzane saranno subito estromesse, su quelle più interessanti si potrebbe invece coagulare l'interesse di qualche politico che, in assenza di alternative, si era supinamente piegato alla prima proposta che è arrivata.... insomma mettiamo alla prova la maturità della collettività e vediamo cosa salta fuori. Se non salta fuori nulla è giusto che venga costruita la centrale a carbone leggero (pulito, anzi profumato). Non una centrale, ma anche due. O magari salta fuori qualcuno che con tutti quei soldi in ballo, propone di comprare l'attuale centrale dall'Enel e fare un polo di produzione FER che valorizza la filiera naturale del parco... Chissà che non vengano dubbi anche alla Regione, retta da chi si fa paladino delle filiere locali, che ha cambiato in fretta e furia la legge istitutiva del parco (con l'astensione del PD)....

Io non mi sono inventato niente, già funziona così altrove. Ecco due casi concreti:
A Parma c'è in progetto un inceneritore e per contrastarlo si stanno proponendo progetti alternativi che, con numeri e dettagli, dimostrano che fare qualcosa di diverso si può e, spesso, conviene....  Anche se i cantieri sono già aperti io oggi non sono così sicuro che l'inceneritore si farà sul serio.

Nulla di diverso da quello che ha fatto la Malesia: il governo voleva fare una centrale a Carbone, la Banca Mondiale (che ha una struttura chiamata Team Climate Change) ha fatto una proposta alternativa con Fonti Rinnovabili. C'è stata una aspra discussione pubblica, alla fine il governo ha deciso di non fare la centrale a Carbone. Vista così la Malesia sembra la culla della democrazia e noi uno dei tanti stati fantoccio.
Il tutto è stato raccontato qui, cioè in un post pubblico del blog ufficiale del Team Climate Change della Banca Mondiale dal titolo: develpoment in changing climate. Nello stesso blog altri esempi.

In altri termini mettiamo in pratica un principio sacrosanto: "Non cambierai mai le cose combattendo la realtà esistente. Per cambiare qualcosa costruisci un nuovo modello renda la realtà obsoleta"

Qualcuno vuole provare a prendersi questa responsabilità?

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(1) A proposito della Golden share di Enel, per cui l'Italia ha già subito una condanna dalla Corte di Giustizia UE. Sono sempre di più i soggetti, anche istituzionali, che chiedono di liberarsene. A cosa serve una opzione di tutela del bene collettivo in una spa che opera sul mercato? Sappiamo tutti a cosa serve, quindi ci si può liberare di un ermafrodito giuridico. E in fretta: non stiamo cercando qualche spicciolo in questi giorni?

venerdì 5 agosto 2011

brainfitness


Una passeggiata sulla spiaggia, all'interno della riserva naturale di Punta Aderci.
L'assenza totale di strutture stabili è dettata dall'esigenza di preservare l'ambiente dunale, ridotto in Italia a 120 km di costa (prima ne avevamo 1.200 km).
Tra le strutture assenti anche i cestini per i rifuti: un cartello avvisa all'ingresso di riportarsi indietro i propri.
Sommando i pochi (per fortuna) che non lo fanno e l'azione di riporto del mare si notano qua e là bottiglie, tappi e detriti vari. Nulla di rilevante anche grazie ad azioni periodiche di volontari, ma comunque fastidioso.
Una famiglia, entrata in spiaggia senza leggere le avvertenze, impreca per l'assenza di cestini per i rifiuti: "vogliono che non si gettino i rifiuti per terra ma non mettono neanche i cestini. Come si fa?".


Forse è stata questa frase che mi ha fatto scattare qualcosa. Era già da tempo che, risalendo dalla spiaggia verso il bar posto all'ingresso della riserva (150metri di strada), mi portavo dietro una bottiglia di plastica raccolta in spiaggia per buttarla nel cassonetto. Per passarmi il tempo prima la riempivo di filtri di sigarette (tra cui i miei). Nel raccogliere da terra queste cose ero inizialmente un po' imbarazzato, ma poi mi sentivo sempre più naturale. Dopo un giorno quasi ostentavo quello che facevo. Avevo superato un piccolo blocco psicologico ed ero passato dal fastidio nel vedere i (pochi) rifiuti abbandonati e relative imprecazioni rivolte agli anonimi responsabili, alla voglia di contribuire a diminuirli. Un contributo minimo, impercettibile.

Ma quella imprecazione della famiglia disattenta ai cartelli, mi ha fatto scattare un pensiero molto banale: io sono uno, ma in spiaggia ci sono alcune centinaia di persone. Se ognuno quando torna indietro si prendesse un solo mozzicone di sigaretta nel suo sacchetto di rifiuti basterebbero pochi giorni per avere una spiaggia perfetta. Ma questo non avviene. Perché?

Forse raccogliere rifiuti altrui viene percepita come una azione degradante, che riusciamo a compiere solo all'interno di un gruppo dove siamo al riparo da giudizi esterni. Forse quando ci sentiamo in vacanza non vogliamo pensare ad altro che a noi stessi.... fatto sta che una azione collettiva, che per il singolo ha un costo residuale, pur generando vantaggi tangibili per la collettività non viene attuata.

Ecco allora su cosa puntare: sulla forza di piccole azioni quotidiane del singolo che non possono essere delegate. Solo così si ottengono due cose:
  1. dare il senso dell'utilità e necessità delle piccole azioni: l'effetto psicologico dello tsunami finanziario ed economico di questi anni è che "nessuno conta più niente", i nostri destini vengono decisi in un indefinito altrove e noi non possiamo farci niente per cambiare il corso delle cose. Quindi non facciamo niente. Capire che non è vero modifica il modo di ragionare e di reagire;   
  2. contribuire a creare consapevolezza che la moltitudine è più potente di qualsiasi altra forza o organizzazione: i meccanismi di delega elettiva della nostra democrazia sono una scatola vuota (e un pericolo reale) senza la consapevolezza che la responsabilità (e quindi il potere di fare) è e rimane nelle nostre mani. La spiaggia non sarà mai pulita se quotidianamente chi la frequenta non raccoglie una frazione impercettibile di quello che il mare porta a riva (o che un bagnante distratto lascia per terra).
La macelleria sociale che, dall'Africa dove è sempre stata attuata, sta migrando in questi anni verso l'europa, non è la causa dei nostri mali, ma l'effetto di una carenza di consapevolezza sulle proprie capacità, l'effetto di una inazione a cui ci si abitua anche guardando un mozzicone su una spiaggia e lasciandolo per terra e aspettando che siano altri a raccoglierlo. O facendo una croce su una scheda il giorno delle elezioni pensando che è tutto ciò che possiamo fare per i prossimi anni di legislatura.

Tornando in città ho raccolto qualche depliant pubblicitario abbandonato per terra sulla strada vicino alla mia porta di casa. Appena spostano una macchina parcheggiata raccolgo anche quella lattina, sporca e impastata di un indefinito materiale appicicoso, che da mesi giace a bordo strada. Senza aspettare che lo faccia chi è stato delegato a farlo

E' un esercizio per abituarmi a capire che posso fare qualcosa, un allenamento mentale per modificare la mia percezione su come posso incidere e mettermi in grado di fare altro, per capire che la delega ad altri è un esercizio che si è reso necessario in un certo momento storico e che oggi non vale più. 
O perlomeno non basta più. E forse è sempre stato così.

I giusti

Un uomo che coltiva il suo giardino, come voleva Voltaire.
Chi è contento che sulla terra esista la musica.
Chi scopre con piacere una etimologia.
Due impiegati che in un caffè del Sud giocano in silenzio agli scacchi.
Il ceramista che intuisce un colore e una forma.
Il tipografo che compone bene questa pagina che forse non gli piace.
Una donna e un uomo che leggono le terzine finali di un certo canto.
Chi accarezza un animale addormentato.
Chi giustifica o vuole giustificare un male che gli hanno fatto.
Chi è contento che sulla terra ci sia Stevenson.
Chi preferisce che abbiano ragione gli altri.
Tali persone, che si ignorano, stanno salvando il mondo.

sabato 16 luglio 2011

Val di Susa - evacuiamola!

Non so se la TAV in Val di Susa sia utile al futuro del trasporto, se possa diminuire davvero il traffico su gomma a favore della ferrovia con tutti i benefici ambientali conseguenti. Non so se sia giusto farla secondo il megaprogetto iniziale o secondo l'ipotesi ridotta di cui da un po' di tempo si sta parlando.

Vorrei parlare del come. 

Per farlo bisogna scavare in un terreno ricco di amianto. Dubbi sulla presenza di amianto? Carotaggi e prospezioni geologiche con risultati divergenti (dipende sempre da chi li fa). 

Sono passato qualche giorno fa per l'autostrada che porta al Frejus, mi fermo all'area di servizio in prossimità dell'uscita val di Susa. Queste le foto.




Sembra un sasso, ma è cavo e qualcuno ne ha sfondato una parete. Click per ingrandire: vi sembra di riconoscere quelle fibre?

Ora: questi i rischi dell'amianto dal sito del ministero della salute.
Sempre il Ministero della Salute raccoglie il complesso di norme che regolano il trattamento dell'amianto.

Le operazioni di scavo e di stoccaggio di milioni di tonnellate di materiale di risulta nei territori limitrofi possono rispettare tutto quel complesso di leggi e norme? Il rispetto di quelle norme può avvenire in Italia, dove ovunque, persino in Trentino, si scoprono tonnellate di rifiuti pericolosi nelle discariche a cielo aperto?

Il problema non è se la TAV serve o non serve.
E' una questione di fiducia, o meglio sfiducia, sui sistemi di controllo nostrani.

Se di fianco a casa vostra, dove abitate con la vostra famiglia, ci fosse un capannone con una copertura in Eternit e cominciassero i lavori per la sua rimozione sareste preoccupati? Fareste qualcosa per verificare che vengano rispettate le norme? Se non siete convinti che i lavori vengano eseguiti bene non fareste qualsiasi cosa per bloccarli?

Ora, il protocollo di rimozione dell'Eternit è definito da tempo: l'ondulato, spesso qualche millimetro, deve essere impregnato con un liquido in grado di bloccare le fibre in modo che durante le operazioni non vengano disperse nell'aria. In Val di Susa si impregna una montagna?

Se la TAV va davvero fatta, allora diciamola tutta, cioè che va evacuato l'intero territorio interessato. Via tutti. Come avviene per le grandi dighe che si stanno costruendo nel mondo: interi villaggi evacuati e scomparsi per sempre. Come sott'acqua non si vive, così tra fibre di amianto libere nell'aria non si sopravvive.

Allora ne comprendiamo il reale costo sociale e possiamo decidere se ne vale la pena. Pacatamente.
Ma almeno sulla bilancia ci sono i pesi giusti.

lunedì 27 giugno 2011

sacrifici umani

I sacrifici umani per placare le ire di forze soprannaturali sono stati una prerogativa di molte culture antiche. Ci sono sacerdoti moderni che li stanno rivalutando.


Il presidente della banca mondiale, nel corso del G20 sull'agricoltura, ritiene che il modo migliore per difendere i paesi poveri dalla volatilità dei prezzi indotta dalle speculazioni sui derivati finanziari sia che questi stessi paesi acquistino derivati finanziari per mettersi al riparo dalla volatilità dei prezzi dei prodotti agricoli. Voilà: cibo per tutti a prezzi contenuti con soli 4 miliardi di futures sul cibo.

Se il demonio della finanza (parole del neo-global Tremonti) sta facendo stragi, allora cerchiamo di placarne la fame sacrificando quel poco che ci resta. Così poi sarà buono con noi.

Delle due l'una: il presidente della banca mondiale è completamente accecato dall'idolatria demoniaca, oppure è solo un piazzista della JP Morgan (o di una qualsiasi delle altre 4 banche d'affari che gestiscono il 96% del mercato degli strumenti finanziari). Tertium non datur.

In ogni caso non si prova ad uccidere il mostro ma lo si blandisce con carne viva: la nostra.

venerdì 24 giugno 2011

prima domenica d'estate: il bambino cresce bene grazie!

Oggi è la prima domenica d'estate. 
Una domenica di sole e persino in val padana si sente un bel venticello fresco...


Se i conti di chi se ne intende sono giusti, domani avremo la conferma di un dato interessante: il 35% della domanda di energia nel picco mattutino (tra le 10 e le 13) è stato soddisfatto da produzione eolica e fotovoltaica.

Certo, è domenica, con una domanda più bassa rispetto ai giorni lavorativi. 

Tra il 1973 e il 1974 c'erano le domeniche dell'austerity. In quelle domeniche non si circolava in macchina per legge per risparmiare sulla bolletta energetica del paese. Oggi, prima domenica d'estate, un bel po' di centrali a gas saranno spente (in realtà a regime minimo, pronte a reagire in caso di bisogno). Mi sembra comunque un bel risparmio no? (ovviamente non per chi ha investito in una centrale turbogas). 

La sensazione che provo è la stessa che provai il 2 dicembre 1973 (prima domenica di austerity): libertà di andare in mezzo alla strada allora, oggi libertà di pensare che ci si puo' liberare delle fonti fossili un po' alla volta.

Sì, è vero. La produzione fotovoltaica ed eolica è ancora un bambino (bambina?), non può farcela a risolvere tutti i problemi, ma intanto ha superato brillantemente l'esame di V elementare. Alla faccia di chi diceva che non sarebbe mai stato capace di nulla, irrequieto e incostante com'è. E adesso continua a crescere. Costa? Come tutti i figli costa l'impegno dei genitori a credere nella sua crescita. Già abbiamo visto che spesso non costa nulla per chi paga la bolletta. 

Il bambino cresce a avrà sempre bisogni nuovi che qualcuno dovrà soddisfare per farlo entrare in società: rete più efficiente, sistemi di stoccaggio di energia che oggi non esistono.... Ma non si può pensare di far mettere a un bambino le scarpe e i vestiti dei genitori o dei fratelli più grandi. Qualcosa di nuovo serve, servono i libri, ci chiede giochi e occasioni di incontro con gli amici che spesso non capiamo ma che poi assecondiamo con mille raccomandazioni. Insomma non serve un impegno straordinario, solo il quotidiano impegno che ogni genitore dedica ai propri figli.

Per fortuna qualcuno ci sta pensando e altri stanno facendo la loro parte.

Anche senza i dati ufficiali di domani posso dire: "il bambino sta bene, grazie. Ma aiutatelo a crescere". 

I bambini di oggi sono quelli che avranno il mondo sulle spalle domani. Meglio farli crescere bene.




martedì 17 maggio 2011

Investimento infrastrutturale

Un racconto. Con un finale ancora da scrivere. Ci vuole un po' di tempo, prendete fiato.

Scena 1: sul lavoro
Pochi giorni fa, nel corso di un incontro di lavoro, mi è stata fatta una domanda inattesa: "se tu potessi scegliere di investire su una infrastruttura pubblica, verso quale direzione andresti?". L'ambito è quello dell'ICT, dove ho ormai passato 30 anni di vita scolastica e professionale, e nella testa mi frullavano le tante ipotesi su cui avevo già ragionato e lavorato. Ma in quel momento (alle volte anche il piccolo stress generato da uno stimolo inatteso produce nuova energia mentale) ho dato una risposta su cui mai avevo fatto ipotesi concrete. La mia risposta è stata: "investirei sul cambiamento nella testa della gente. Il mondo sta cambiando ma in pochi ci stanno ragionando e se non ci sono persone predisposte al cambiamento nessuna infrastruttura tecnologica potrà mai produrre effetti positivi". Credo di avere destato nei miei interlocutori quantomeno una certa perplessità.... (o forse peggio!). Il problema è che ho generato in me il bisogno di dare sostanza a quello che avevo detto. E non ci sono ancora riuscito completamente.
Sipario.

Scena 2: in libreria
A distanza di poche ore sono in una libreria alla presentazione di un libro di un amico. Con me un gruppo di persone reduce da un convegno sul tema Open Data. Relatore, tra gli altri, Alberto Cottica. Percepisco in molti entusiasmo sull'intervento di Cottica, che li spinge a comprare in massa il suo ultimo libro wikicrazia. Mi raccontano anche di altre persone, comuni conoscenti, che durante il convegno hanno mostrato sorpresa e interesse per l'approccio di Cottica. La cosa mi colpisce, perché la posizione di Cottica è nota da tempo, ampi stralci del suo libro sono disponibili su web, se ne è discusso in rete e sono praticamente certo che molti di loro ne avevano già letto e letto commenti su di esse. Ma allora come mai tanta sorpresa e entusiasmo per cose in un qualche modo già conosciute? Secondo me la risposta sta in due dimensioni:
  • hanno visto parlare Cottica (N.B. visto, non sentito);
  • lo hanno fatto nella comunità, anche se temporanea, dei partecipanti al convegno.
Hanno provato l'energia della persona che parlava e l'hanno vissuta con tutti i presenti al convegno. 

Invidioso dell'energia che ognuno di loro trasmetteva, ho indagato per capire se esisteva qualche traccia del convegno, magari un video....  praticamente impossibile: l'organizzazione di un convegno non è facile di per sé, se poi bisogna organizzare anche la registrazione, avere qualcuno che si occupa del successivo montaggio dei video, renderli disponibili in rete....
Non solo, ma scopro che il convegno ha ricevuto un tale numero di registrazioni che è limitato alle sole amministrazioni vicine. Battuta qualunquista, scontata e facile: convegno chiuso sugli open data!
Mi tengo la mia invidia, comincia la presentazione del libro e mi concentro su quella.
Sipario.

Scena 3: su TED.com
Flashback. Oxford, Luglio 2010
Siamo a TEDGlobal 2010, il talk che ci interessa è quello del fondatore Chris Anderson.   

Nei 18 minuti canonici spiega in maniera formidabile come lo strumento del video in rete stia accelerando la capacità di innovazione della moltitudine: Crowd Accelerated Innovation. Il talk va visto, raccontarlo qui significa allungare il post e degradare il messaggio di Anderson. 18' fondamentali per seguire la trama. E' parte integrante della scena: non potete non vederlo se volete proseguire.
(sub ita per i "diversamente anglofoni" come me).


Anderson fornisce un paradigma nuovo: la trasmissione scritta della conoscenza è l'unica cosa che fino ad oggi ci potevamo permettere. Ma la relazione tra essere umani è infinitamente più efficace se vengono coinvolti tutti i livelli relazionali. Questo lo sanno tutti gli esperti di comunicazione: il contenuto informativo che passa attraverso la comunicazione non verbale è enormemente superiore a quello passa attraverso il messaggio esplicito. C'è chi dice che il 90% è non verbale. Tutto questo lo sanno bene i pubblicitari, gli attori, i registi.... Se poi aggiungiamo le immagini (slide o filmati) facciamo leva sulla memoria visiva, che è la più efficiente. Altro particolare fondamentale: un talk a TED non puo' durare più di 18 minuti. Ci sono altri format, ma per tutti il tempo è fondamentale. Senza questo vincolo temporale non funzionerebbe così bene.
In più, aggiungo io, l'asincronia del video in rete consente di rivederlo ogni volta che è necessario, proprio come siamo abituati a fare con un testo scritto quando torniamo indietro per rileggere un passaggio. Anderson ne parla come di una forma comunicativa su cui basare una formazione continua per la moltitudine e dalla moltitudine per accelerare l'innovazione. Una formazione che non si ferma agli studi, ma che continua e diventa metodo di vita.
Sipario.

Scena 4: corso di pedagogia delle risorse umane
Il nome è orrendo ("risorse umane" intendo), ma così è. Il docente lo ha reso molto piacevole. Riprendo gli appunti di due ore intense, con concetti sui capisaldi della disciplina, sull'intreccio dinamico di formazione e lavoro, sull'autoeducazione continua come chiave di sviluppo dell'adulto.

Istruzione che insegna 4 dimensioni essenziali: conoscere, fare, essere, vivere insieme (rapporto Delors per UNESCO - 1996).

Dalle enunciazioni di principio dell'UNESCO al pragmatismo della raccomandazione del parlamento e consiglio europeo del 2006 agli stati membri che definisce le 8 competenze chiave "di cui tutti hanno bisogno per la realizzazione e lo sviluppo personali, la cittadinanza attiva, l’inclusione sociale e l’occupazione" invitando gli stati membri ad attuare strategie per innalzare progressivamente il loro livello.
Ecco le 8 competenze chiave:
  1. comunicazione nella madrelingua
  2. comunicazione nelle lingue straniere
  3. competenza matematica e competenze di base in scienza e tecnologia
  4. competenza digitale
  5. imparare a imparare
  6. competenze sociali e civiche
  7. spirito di iniziativa e imprenditorialità
  8. consapevolezza ed espressione culturale
Vengono poi messi in evidenza vincoli e opportunità per il processo formativo dati dal contesto sociale:
- modificazione del rapporto con il tempo: velocità come valore (e lentezza come disvalore);
- indebolimento dei legami comunitari;
- società eticamente neutra: assenza di punti di riferimento che rendono difficile il cambiamento;
- società dell'informazione e barriere di accesso;
- iperspecializzazione che limita l'uso dell'interdisciplinarietà.
- .....

La domanda: ce la può fare il nostro sistema scolastico a trasmettere le competenze dalla 5 in poi? Per me, nel breve periodo, la risposta è un no secco. Per due motivi:
- non è con una riforma che si risolve, ma con un lavoro di lungo periodo sugli insegnanti;
- molte sono competenze che non si imparano, ma devono essere vissute.
Ma allora cosa posso fare per mia figlia che comincia l'anno prossimo il liceo? Devo trovare un modo per integrare l'istruzione formale (quella scolastica) con occasioni di educazione informali che le trasmettano queste competenze, gliele facciano vivere. E dove trovo queste occasioni tra gli impegni famigliari, lo sport e il pianoforte che non intende certo abbandonare?
Con un po' di angoscia, quella di tutti i genitori, si chiude il sipario

Scena 5:  tra me e me
Innovare significa trasformare la conoscenza in benessere.
E' una personale re-interpretazione di quanto diceva il fondatore della Xerox, che suonava più o meno così: "la ricerca è trasformare la ricchezza in conoscenza, innovazione è trasformare la conoscenza in ricchezza", ma io preferisco la mia dove il fine dell'azione innovativa è più ampio del denaro.
(N.B. senza Xerox non ci sarebbe stata l'Apple che conosciamo e molto altro ancora)

In una società dove tutto è predefinito da manuali e procedure, innovare è un esercizio riservato a pochi, che innovano per gli altri. In una società in continuo cambiamento l'esercizio diventa un esercizio di massa. Una necessità, più o meno consapevole, a livello del singolo e delle organizzazioni: chi si arrabatta per arrivare a fine del mese, chi scopre che i propri stili di vita sono in contraddizione con i propri principi, chi sa che prima o poi il suo posto di lavoro non sarà più tale, chi in azienda deve pensare a nuovi prodotti e scoprire nuove reti e filiere con altre aziende, chi nella ricerca deve capire su cosa indirizzare le proprie energie, chi nella pubblica amministrazione cerca di capire dove tagliare di meno o dove spendere quel poco che si può spendere, chi ha il mandato di curare gli interessi collettivi....

Fare innovazione, cioè cambiare qualcosa di quello che fino ad ora è stata una certezza nel proprio modo di operare, non è un percorso semplice. La resistenza al cambiamento si vince con due ingredienti:
  • esempi positivi 
  • condivisione del percorso con altri
Come dare gambe a un processo di innovazione "di massa", cioè creare le condizioni per conoscere, vedere, toccare esempi positivi e generare comunità (o meglio community, come suggerisce Cottica), nelle quali adattarli o costruirne di nuovi, vedere che "si può fare"? In che modo abilitare al cambiamento il maggior numero possibile di persone? I video di Anderson non bastano per fare un sistema.

Qui mi fermo perché non riesco a trovare la chiave per andare avanti.

Prima di cambiare scena comincio a rileggermi wikicrazia di Cottica dove il valore della community è centrale.
Sipario

Scena 6: capitale sociale
Molti responsabili del personale di aziende, perlomeno quelli più illuminati, misurano il valore delle organizzazioni complesse di cui hanno la responsabilità in termini di competenze dei singoli e del modo con cui i singoli sono in relazione informale tra loro a prescindere dal livello gerarchico e dal ruolo. Il network delle relazioni informali è quello che consente ai singoli di raggiungere obiettivi e risolvere problemi in modo efficace e quindi contribuire efficacemente agli obiettivi aziendali.

E' il tentativo di misurare il capitale sociale d'impresa. Ci sono studiosi che hanno affrontato la materia a livello sociologico. Mi addentro in un terreno che non conosco, quindi semplifico e banalizzo. E forse farò degli errori.

Sono nate metodologie di misurazione delle reti di relazioni informali nelle aziende e strategie per rendere le reti informali più efficaci, in quanto è proprio su tali reti informali che si rafforzano le stesse competenze dei singoli e collettive, utili al funzionamento dell'azienda e si innestano percorsi di funzionamento non prevedibili a priori.


Se volessimo misurare il capitale sociale di un territorio, o di una nazione, in quanto misura della capacità di quel sistema territoriale di essere utile a sé stesso, cioè di creare benessere locale, dovremmo quindi ragionare sia sulle competenze dei singoli sia sulle reti di relazioni formali e informali che ci sono tra loro. Prendendo in considerazione, oltre ai singoli, anche le organizzazioni che su quel territorio operano: aziende, associazioni, enti pubblici, organizzazione di categoria, comitati di cittadini.... ognuna della quali ha un proprio capitale sociale. Una misurazione seria dei valori assoluti non è possibile né sensata, ma sappiamo che il valore dipende da due fattori: competenze e relazioni anche informali. Quindi è su queste che bisogna agire se si vuole accrescere la capacità di generare benessere, cioè la capacità di innovare.

Semplificando ed estremizzando: assegniamo al sistema scolastico il compito di trasmettere le competenze. La possibilità di incidere sul sistema scolastico, materia di legislazione concorrente, è di fatto estremamente limitata per il livello di governo locale (in realtà non è vero, ma sto semplificando). Ma è invece proprio il livello locale che può incidere maggiormente sul sistema delle relazioni informali, cioè quelle che non rispondono alle logiche gerarchiche o ai ruoli formalmente ricoperti.

Conclusione: il livello di governo locale può accrescere il capitale sociale locale se attua una strategia volta a favorire lo sviluppo di reti informali sul proprio territorio, tra tutti gli stackholders che ne fanno parte. Non solo, quindi, assegnando ruoli e funzioni a organizzazioni, strutture e persone, ma puntando strategicamente anche sulle relazioni, dalle quali dipende in massima parte l'efficacia dello scambio di informazioni, della diffusione di conoscenze, della diffusione della fiducia, della spinta all'innovazione....

Un governo locale che diventa imprenditore dell'intelligenza collettiva di quel territorio.
Sipario.

Scena 7: Quindi?
Qualcuno dice che, spesso, chi scrive, racconti o romanzi, sul finale è troppo veloce, lasciando nel lettore un senso di incompletezza..... Qui il finale non c'è, deve ancora essere scritto. Quello che segue è solo un abbozzo, un'intenzione di direzione. Il sentiero deve ancora essere tracciato, i sassi tolti, spianato il terreno, i rami tagliati, i ponti sull'acqua costruiti per avere un sentiero degno di questo nome che porti a raggiungere un punto di osservazione da cui vedere panorami nuovi.

Questo racconto è iniziato con una domanda: su cosa investiresti? 

Investirei su una infrastruttura (fatta di rete abilitante, comportamenti, strumenti, regole, format di comunicazione....) per attuare una strategia di formazione continua basata sulla comunicazione tra persone che vada oltre la parola scritta o parlata, che abbia al centro le relazioni umane e le stimoli, dove virtuale non sia più il termine da usare, dove le emozioni passino insieme alla informazioni, che consenta la formazione di gruppi eterogenei per ruolo e competenze che in un certo momento hanno interessi condivisi, che spinga ognuno, singolo o organizzazione, a dare quello che conosce per potere ricevere da altri.

Una infrastruttura che garantisca le regole e i format perché d'abitudine convegni, corsi e ricerche sostenuti da soldi pubblici siano accessibili alla collettività tramite la rete, dove il dato pubblico non solo viene reso disponibile e fruibile, ma anche spiegato e raccontato.... Dove la promozione di un prodotto o servizio diventa momento di formazione per altri. Dove la competizione si gioca sul consenso e sull'autorevolezza. Dove dalla sindrome NIMBY si possa passare alla richiesta IMBY, perché quello che si vuole costruire nel giardino l'ho progettato io insieme ai vicini di casa.

Una infrastruttura che levi il velo della formalità dei rapporti e dei ruoli e lasci scorrere le energie disponibili mantenendo un rispetto maturo di rapporti e ruoli. Dove ognuno possa trovare lo stimolo e il coraggio di cambiare per migliorare perché vede nuovi modelli, nuovi esempi, nuove idee. Dove l'impiego dei "video" di Anderson, o di quello che sarà domani, diventa un metodo, basato sulla persona, per trasmettere e ricevere energia, idee, unità, consapevolezza, condivisione, opportunità, tranquillità, coesione, appartenenza, leggerezza, serenità....

Dove ognuno diventi imprenditore dell'intelligenza collettiva di quel territorio.

Sta già succedendo, ma senza una presa di coscienza e le conseguenti azioni troppi ne rimarranno esclusi: anche grandi competenze, ma con relazioni scarse con la moltitudine generano un basso capitale sociale.
Sipario.

Scena 8: l'infrastruttura all'opera
E' solo una suggestione. Ma senza sogni non c'è speranza.

Luce e oro - Lux aurumque


Il racconto è finito.
Sipario?

sabato 7 maggio 2011

una fonte di energia inesauribile

Oggi, dopo molti anni (forse anche due decenni), sono andato a prendere da mangiare ad un take away cinese. L'ho fatto perché mia figlia me lo ha chiesto e mi sono reso conto che a 13 anni non aveva ancora assaggiato il cibo cinese. Tanti racconti e leggende, e tante esperienze di vita vissuta di responsabili di igiene delle USL mi avevano allontanato da una delle scoperte culinarie più esaltanti avute in gioventù.

Mi sembrava ingiusto che mia figlia, che i racconti e le leggende sulla cucina cinese li ha sentiti fin da piccola, non si fosse mai confrontata con quei sapori. Ero in un centro commerciale (...) dove il take away cinese ha preso il posto di un MCDonald. Anche questa contrapposizione mi attirava.

Ho ordinato a un signore cinese, dietro al quale stava un cuoco cinese, che dava gli ordini ad una giovane ragazza italiana. La cosa mi ha colpito. Colpito positivamente, senza indagarne i motivi. Chi ha preso gli ordini, cinese, era chiaramente il capo, la ragazza, italiana, la commessa assunta dal capo. Altra cosa che mi ha colpito che la ragazza scambiasse qualche battuta, forse erano solo alcuni vocaboli, in cinese con il "padrone". Il rapporto tra i due era molto amichevole e complice. Continue battute, lui ha sbagliato i conti, la ragazza gli ha fatto vedere dove, lui ci ha riso sopra e raccontato agli altri, dietro le quinte, cose a me incomprensibili che hanno suscitato plateale ilarità. Ho fatto qualche domanda alla ragazza italiana per capire se avesse affinità con la Cina o direttamente con i gestori: nulla, "sono qui per lavorare".

Tornando a casa ho cercato di capire meglio il senso di positività che ho provato. E ho trovato due dimensioni alla mia reazione:
1) la ragazza aveva un lavoro perché un cinese le aveva dato un'opportunità,
2) le relazioni che si erano create in quell'ambiente di lavoro erano positive.

Sono due dimensioni che di questi tempi non sono poco. Oggi è il giorno dello sciopero generale della CGIL, pochi giorni fa ci sono stati i dati dell'ISTAT, subito contestati perché sottostimati, che dicono che la disoccupazione giovanile è ormai oltre ogni limite sostenibile, l'INPS dichiara trionfante che sono calate le ore di cassa integrazione (per forza sono ormai finite e sono tutti a casa senza CIG) . Qualche giorno fa le manifestazioni dei precari, che ormai sono la maggioranza dei nuovi lavoratori, quotidianamente notizie di aziende di qualche centinaio di dipendenti che chiudono (non più stato di crisi o cassa integrazione, chiudono direttamente). Anche se lo si legge poco sui giornali, questa è la realtà che ognuno vive nel suo ambito di relazioni (oppure sono io che conosco solo persone coinvolte in situazioni del genere?).

Ecco allora che mi si affaccia alla mente una prospettiva cui non avevo pensato: ma se ci servissero solo nuove energie per trovare un nuovo equilibrio? Forse chi viene da fuori del nostro demotivato ambiente europeo ne ha, forse chi viene dall'esterno di un paese che non parla più di futuro ma solo di "ora e subito"  a tutti i livelli riesce a metterne in campo. Forse chi viene da fuori ha la capacità di vedere diversamente le cose, e quindi prendere decisioni diverse e fare cose diverse.

Proviamo a vederla così. Il centro commerciale, piuttosto nuovo, è in realtà da sempre poco frequentato. Negozi che cambiano in continuazione, molti spazi che rimangono inutilizzati per molto tempo. McDonald, che ha i suoi standard di redditività da rispettare, chiude. Persone che rimangono senza lavoro. Al suo posto una famiglia cinese, decide di aprire una iniziativa. Si sa, i cinesi hanno altri parametri su tutti i livelli (e vorrei vedere con la storia che hanno). Aprono e assumono italiani che nessuno avrebbe mai assunto. Se chiude un McDonald, figurati se qualche altro imprenditore nel food investirebbe in quel luogo. Il cinese ha meno pretese? Il cinese non conosce la realtà e fa un azzardo? Non lo so, ma lo fa.

Continuando nel ragionamento mi è venuto in mente che in un sushi take away (sembra che io frequenti solo take away, ma non è così!) ho trovato una situazione esattamente opposta: padrone italiano (altra giovane ragazza) e lavoranti giapponesi.

Da questi due esempi, molto piccoli e all'apparenza insignificanti, ho pensato di avere trovato una attuazione concreta di un concetto, forse banale: non è il prevalere di un atteggiamento rispetto ad un altro che fa la differenza (il cinese è più positivo dell'italiano o viceversa), ma è proprio il confronto tra gli atteggiamenti diversi che fa nascere nuove opportunità ed energie.

Non è il cinese, il giapponese o l'italiano (il francese, il peruviano o l'indiano....) che singolarmente hanno più o meno coraggio, ma è dal confronto delle aspettative e dei valori che ognuno si porta dentro che possono nascere nuove opportunità. Banalità? Beh, io non lo credo. Pensiamolo a livello più alto. Le stesse cose stanno succedendo nell'industria. Esempi? Mille, vediamo i più eclatanti: Parmalat e Lactalis, Fiat e Chrysler, aggiungo Alitalia per chi ha la memoria corta.... (ma ce ne sono ben di più), tutte vicende che mediaticamente si giocano sull'italianità o meno delle imprese. A cosa serve l'italianità? A far stare meglio chi ci lavora? Ad avere più occupazione? A mio avviso l'unico risultato che porta l'italianità è l'impoverimento del patrimonio genetico, cioè delle idee che possono generare valore.

Valore per chi? Già, forse questo è il punto. Per chi ci lavora o per chi vuole usare quella impresa come leva per il consenso? Sappiamo l'uso che è stato fatto di Alitalia in campagna elettorale, sappiamo che Parmalat è l'acquirente di molti produttori di latte di mucca della pianura padana (mentre in sardegna i "pecorari", che fanno latte anche loro, sono senza coperture politiche e ormai allo stremo), sappiamo dell'irreale dibattito su dove sarà la testa o il cuore di Fiat... a me piuttosto interessa sapere chi e dove ci lavorerà e come.

Forse l'apertura a nuovi stili di management, a diversi modi di vivere, a diverse aspettative di vita e di benessere è essa stessa un fattore che fornisce nuovi apporti ad un sistema che non funziona più?

Proprio ieri ho visto un servizio su rainews24 (se lo ritrovo metto il link, oggi il sito di rainews24 non è in forma) in cui interi paesi della Calabria sono rinati con l'afflusso di immigrati. Paesi che stavano scomparendo per l'emigrazione, paesi con case vuote e abitati solo da anziani, che oggi sono pieni di bambini che giocano per le strade. Sono i bambini degli immigrati che hanno trovato un equilibrio tra il lavoro e la sussistenza, e che in questo equilibrio si sono trovati bene. Meglio di come erano, dirà qualcuno. Ma quei paesi e quel territorio hanno trovato più energia. Gli anziani che sono contenti di vedere bambini per le strade che giocano, scuole che stavano chiudendo che ritrovano alunni, negozi che riaprono... E quei bambini saranno adulti.

Che la fonte maggiore di energia stia proprio nel mescolamento (ineluttabile) di nuovi e diversi modi di vivere? Allora che senso ha resistervi? Non varrebbe la pena costruirci sopra una strategia più seria?

Fino ad ora abbiamo vissuto un mescolamento a senso unico: l'europa ha assorbito la cultura americana. Abbiamo preso tutto il bene e tutto il male possibile. Ora però la globalizzazione, che è stata pensata inizialmente come egemonizzazione del globo da parte di una sola parte, si sta rivelando come un melting pot di tanti altri mondi e approcci, dove qualcuno sembra prevalere ma poi si scopre che non è vero. Vincono gli USA? La Cina? Il Brasile, l'India, la Russia?....

Questa sera vado a letto con la convinzione di avere trovato un lato buono di una globalizzazione che è diventata (sta diventando) multicentrica.
Sta fornendo energia a quanto abbiamo di più prezioso: la nostra testa.
Perché senza usare la testa nessun cambiamento è possibile, in nessun luogo del mondo.