venerdì 5 agosto 2011

brainfitness


Una passeggiata sulla spiaggia, all'interno della riserva naturale di Punta Aderci.
L'assenza totale di strutture stabili è dettata dall'esigenza di preservare l'ambiente dunale, ridotto in Italia a 120 km di costa (prima ne avevamo 1.200 km).
Tra le strutture assenti anche i cestini per i rifuti: un cartello avvisa all'ingresso di riportarsi indietro i propri.
Sommando i pochi (per fortuna) che non lo fanno e l'azione di riporto del mare si notano qua e là bottiglie, tappi e detriti vari. Nulla di rilevante anche grazie ad azioni periodiche di volontari, ma comunque fastidioso.
Una famiglia, entrata in spiaggia senza leggere le avvertenze, impreca per l'assenza di cestini per i rifiuti: "vogliono che non si gettino i rifiuti per terra ma non mettono neanche i cestini. Come si fa?".


Forse è stata questa frase che mi ha fatto scattare qualcosa. Era già da tempo che, risalendo dalla spiaggia verso il bar posto all'ingresso della riserva (150metri di strada), mi portavo dietro una bottiglia di plastica raccolta in spiaggia per buttarla nel cassonetto. Per passarmi il tempo prima la riempivo di filtri di sigarette (tra cui i miei). Nel raccogliere da terra queste cose ero inizialmente un po' imbarazzato, ma poi mi sentivo sempre più naturale. Dopo un giorno quasi ostentavo quello che facevo. Avevo superato un piccolo blocco psicologico ed ero passato dal fastidio nel vedere i (pochi) rifiuti abbandonati e relative imprecazioni rivolte agli anonimi responsabili, alla voglia di contribuire a diminuirli. Un contributo minimo, impercettibile.

Ma quella imprecazione della famiglia disattenta ai cartelli, mi ha fatto scattare un pensiero molto banale: io sono uno, ma in spiaggia ci sono alcune centinaia di persone. Se ognuno quando torna indietro si prendesse un solo mozzicone di sigaretta nel suo sacchetto di rifiuti basterebbero pochi giorni per avere una spiaggia perfetta. Ma questo non avviene. Perché?

Forse raccogliere rifiuti altrui viene percepita come una azione degradante, che riusciamo a compiere solo all'interno di un gruppo dove siamo al riparo da giudizi esterni. Forse quando ci sentiamo in vacanza non vogliamo pensare ad altro che a noi stessi.... fatto sta che una azione collettiva, che per il singolo ha un costo residuale, pur generando vantaggi tangibili per la collettività non viene attuata.

Ecco allora su cosa puntare: sulla forza di piccole azioni quotidiane del singolo che non possono essere delegate. Solo così si ottengono due cose:
  1. dare il senso dell'utilità e necessità delle piccole azioni: l'effetto psicologico dello tsunami finanziario ed economico di questi anni è che "nessuno conta più niente", i nostri destini vengono decisi in un indefinito altrove e noi non possiamo farci niente per cambiare il corso delle cose. Quindi non facciamo niente. Capire che non è vero modifica il modo di ragionare e di reagire;   
  2. contribuire a creare consapevolezza che la moltitudine è più potente di qualsiasi altra forza o organizzazione: i meccanismi di delega elettiva della nostra democrazia sono una scatola vuota (e un pericolo reale) senza la consapevolezza che la responsabilità (e quindi il potere di fare) è e rimane nelle nostre mani. La spiaggia non sarà mai pulita se quotidianamente chi la frequenta non raccoglie una frazione impercettibile di quello che il mare porta a riva (o che un bagnante distratto lascia per terra).
La macelleria sociale che, dall'Africa dove è sempre stata attuata, sta migrando in questi anni verso l'europa, non è la causa dei nostri mali, ma l'effetto di una carenza di consapevolezza sulle proprie capacità, l'effetto di una inazione a cui ci si abitua anche guardando un mozzicone su una spiaggia e lasciandolo per terra e aspettando che siano altri a raccoglierlo. O facendo una croce su una scheda il giorno delle elezioni pensando che è tutto ciò che possiamo fare per i prossimi anni di legislatura.

Tornando in città ho raccolto qualche depliant pubblicitario abbandonato per terra sulla strada vicino alla mia porta di casa. Appena spostano una macchina parcheggiata raccolgo anche quella lattina, sporca e impastata di un indefinito materiale appicicoso, che da mesi giace a bordo strada. Senza aspettare che lo faccia chi è stato delegato a farlo

E' un esercizio per abituarmi a capire che posso fare qualcosa, un allenamento mentale per modificare la mia percezione su come posso incidere e mettermi in grado di fare altro, per capire che la delega ad altri è un esercizio che si è reso necessario in un certo momento storico e che oggi non vale più. 
O perlomeno non basta più. E forse è sempre stato così.

I giusti

Un uomo che coltiva il suo giardino, come voleva Voltaire.
Chi è contento che sulla terra esista la musica.
Chi scopre con piacere una etimologia.
Due impiegati che in un caffè del Sud giocano in silenzio agli scacchi.
Il ceramista che intuisce un colore e una forma.
Il tipografo che compone bene questa pagina che forse non gli piace.
Una donna e un uomo che leggono le terzine finali di un certo canto.
Chi accarezza un animale addormentato.
Chi giustifica o vuole giustificare un male che gli hanno fatto.
Chi è contento che sulla terra ci sia Stevenson.
Chi preferisce che abbiano ragione gli altri.
Tali persone, che si ignorano, stanno salvando il mondo.

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